La chiesa, risalente nelle sue forme attuali al XVII secolo (nel 1637 furono oggetto di sistemazione il coro e l’altare), presenta uno slanciato campanile di architettura lombarda (datato secoli XIII – XIV), con bifore alla sommità e un’elegante piramide di finimento. Nel 1989, durante alcuni lavori di restauro diretti dal geometra Mario Ercoli all’epoca della presidenza del professor Bruno Giudici, sono venuti alla luce all’interno un gruppo di interessanti affreschi del Trecento e degli inizi del Quattrocento, tra cui Martirio di Santo Stefano, Madonna in trono con Bambino, San Pietro, San Paolo, Santa Lucia. Da rilevare che in chiesa si conservano anche un quadro della Madonna col Bambino del bergamasco Pietro Antonio Gualdi (1745) e una tela seicentesca raffigurante Cristo Crocifisso e i Santi Giovanni Evangelista, Andrea, Domenico, Francesco, Luca, Giovanni Battista e la Madonna; un affresco strappato su tela, risalente al secolo XV e rappresentante il Matrimonio mistico di Santa Caterina, la Maddalena e Sant’Antonio Abate, è custodito nella Pia Fondazione.

L’ARCHITETTURA

Il primo documento non cartaceo, ossia non proveniente da fondi d’archivio, relativo alla chiesa di Santa Maria al Ponte, alla sua storia edilizia e anche alla storia dell’istituzione “ospitaliera” che ad essa era legata, compare in tutta evidenza sulla facciata. Si tratta di due iscrizioni incise sulla lastra in pietra simona collocata come architrave entro la struttura architettonica del portale maggiore: l’anno 1340 e l’anno 1629. Alla prima data si accompagna il nome del promotore della lastra e dell’iscrizione in eleganti caratteri gotici che occupa a destra una delle tre specchiature che risultano dalla precisa scansione geometrica della superficie, e degli elementi figurativi che vi compaiono: “Frate Francesco da Vezza”, che si presenta come “Minister nup (er) Ospitalis” (Ministro ultimamente dell’Ospedale), una carica che, come appartenente alla congregazione degli Umiliati, continuerà a ricoprire ancora almeno fino al 1350. (O. Franzoni). Per la prima volta a questa data la presenza della congregazione, che dalla sua nascita in Brescia nell’XI secolo si era ampliata anche nella provincia, e in Vallecamonica in particolare, con numerosi conventi, si manifesta con un segno vistoso: testimonianza altresì, qui a Malegno, di una cultura raffinata con la cultura di alcune famiglie nobili locali. Come dimostra la stretta affinità tra le facciate dei sarcofaghi nei monumenti funerari di Giacomo Oldofredi in Iseo (1325) e di Isonno Federici in Gorzone (1336) e la lastra – trabeazione della chiesa di Santa Maria al Ponte: nella geometria che ritma la scansione della superficie, nel tipico elemento ornamentale detto “a manin” che circonda le cornici interne; e nella altrettanto tipica croce greca “ramponata” che in Malegno si accompagna ad un altro elemento, un chido della Crocifissione secondo una tipologia che compare anche su una antica pietra forse chiave d’arco di una tomba ad arcosolio – riutilizzata nella casa canonica di Borno (G. Panazza). E condivisa anche, ma solo in parte, nella scelta stilistica che in Malegno si caratterizza per una forza, una “durezza” di disegno evidente anche nelle rosette intorno alla croce e ancor più nella mano benedicente nel riquadro centrale, che suggerisce un riferimento alla cultura nordica, d’Oltralpe. Ma proprio quest’ultimo elemento iconografico, e insieme la data che compare sulla lastra, sembra essere testimonianza di un momento cruciale della storia degli Umiliati: della prima fase, si può pensare, di quel processo di clericalizzazione che in Brescia, e anche nel terrotorio e proprio a partire dal XIV secolo, porterà i loro “conventus ordinarii et principales” ad assumere compiti di officiatura quotidiana e a coprire un ruolo sociale più visibile nel sistema ecclesiastico e più controllato. Ma anche la perdita dello spirito di indipendenza che lo aveva sempre caratterizzato e, dal punto di vista amministrativo, con la perdita dell’esenzione “da ogni giurisdizione di arcivescovi, vescovi e altri ordinari, di cui la congregazione aveva fin qui goduto” (A. Bosisio).
La progressiva decadenza dei tre Ordini degli Umiliati, e particolarmente del Terzordine, raggiungerà la fase decisiva e irreversibile sotto il governo di Venezia che, dopo la conquista di Brescia nel 1426, individua nell’assoggettamento delle fondazioni ecclesiastiche bresciane a congregazioni venete legate alla Signoria della città dominante uno dei passaggi necessari alla costituzione di uno stato regionale in terraferma (C. Violante).
A questo punto la presenza degli Umiliati sembra farsi più indistinta e più labile, se non del tutto annullata: nella città di Brescia come nel suo territorio di pianura e nelle sue vallate, e in particolare in Vallecamonica dove erano presenti in Cemmo, Esine, Niardo, San Pietro sopra Cividate, Malegno e forse anche in San Valentino di Breno. (A. M. Finoli) In questa situazione assumono ovviamente particolare importanza i segni superstiti della loro antica presenza nella società entro la quale, nell’XI e XII secolo negli anni di fondazione del loro movimento, avevano individuato le cause dell’ingiustizia e dello sfruttamento dei deboli. I “convenia” degli Umiliati nascono infatti come istituzioni manifatturiere – lanifici soprattutto ampliati in seguito alla lavorazione di altri prodotti: lino, canapa e cotone importato dell’Oriente – organizzate in una forma di lavoro associativa, ma rispettosa delle singole professionalità, che consentiva un reddito molto alto, in parte impiegato in opere di pubblica beneficenza e di assistenza (C. Pasero). Alle quali erano finalizzati gli “ospitales” o “ospizi” destinati, sembra, all’accoglimento di passanti e mercanti e al ricovero delle mercanzie e forse anche alla cura dei malati. I “convenia” degli Umiliati venivano fondati, in Brescia e nel suo territorio dai quali ricavavano l’energia necessaria per alimentare gli opifici dei loro folli e delle tessiture e che utilizzavano anche come vie secondarie di trasporto collegate ai percorsi viari di terra (C. Violante). E comprendevano anche parti destinate all’ospitalità. A queste scelte corrispondono tutti gli insediamenti degli Umiliati in Vallecamonica. Ma unica testimonianza certa sopravvissuta è la Chiesa di Santa Maria al Ponte di Malegno costruita proprio di fronte ad uno dei punti di appoggio del ponte in legno che attraversando il fiume ne consentiva l’utilizzo e l’attraversamento; e anche il collegamento con Cividate, sede di un altro convento di Umiliati dedicato a San Pietro. La sua dimensione primitiva, databile da documenti d’archivio relativi alla presenza degli Umiliati almeno alla metà del XIII secolo (O. Franzoni), doveva essere molto ridotta: nella tipologia di una cappella più che di un edificio di culto aperto alla popolazione e probabilmente limitata al vano a pianta rettangolare che attualmente ha funzione di presbiterio, secondo una tipologia presente in Valle in età medievale conservata o riproposta ancora nell’età della Controriforma; e affiancata da un piccolo cimitero. Ma la piccola chiesa era resa visibile dall’emergere, nel lato sud verso il fiume, dell’alto campanile romanico, forse coevo anche se rimaneggiato più tardi nella parte terminale, nel quale si apre una piccola porta, attualmente l’ingresso laterale (G. Panazza).
La chiesa, ampliata con l’aggiunta di due campate coperte con volte a botte e di altezza superiore al vano del presbiterio (come si può verificare guardando l’edificio dal lato sud), raggiungerà una dimensione sufficiente ad accogliere un numero più grande di fedeli. In assenza di documenti, la data di questa trasformazione, fondamentale per i rapporti della congregazione degli Umiliati – testimoniati ancora a questa data come proprietari della chiesa – con la società locale, rimane incerta. Anche se coerente, la semplicità della struttura architettonica non offre indicazioni sufficienti alla sua datazione.
Più che la data 1340 che compare nell’iscrizione sulla lastra in pietra simona collocata attualmente sul portale maggiore può valere un’altra data: il 1459, anno della presenza in Malegno di Benvenuto Vanzio, inviato del vescovo di Brescia Bartolomeo Malipiero per controllare lo statuto giuridico dell’Ospizio degli Umiliati (citato dai documenti per la prima volta in questa occasione), e verosimilmente anche della piccola chiesa, dando avvio ad una controversia tra istituzione ecclesiastica e istituzione civile destinata a durare a lungo (S. Vielmi). E forse un anno cruciale anche per gli Umiliati di Vallecamonica, nell’ultima fase di quel processo di clericalizzazione dell’Ordine di cui già si è detto; e che di fatto dal 1444 non lasciano altre testimonianza documentarie della loro presenza in Malegno (O. Franzoni).