Intervista a Girolamo Odelli e Caterina Moncini.

Il forno, collocato in un’antica abitazione in Via Zeva 11, era di Bortolo Odelli (il Castignì), come il forno n. 21.
Qui vissero alcune famiglie in affitto, di cui abbiamo testimonianza riguardo l’utilizzo del prezioso manufatto dall’erede Girolamo Odelli (Girumì).

Il forno è collocato nell’ambiente antistante la stalla con la volta in mattone refrattario; non ha canna fumaria e il fumo fuoriesce da un’apertura nel muro con aggiunta successiva di tubi. È alloggiato su una struttura in muratura a base rettangolare con spazio sottostante dove ammucchiare la legna.
Utilizzato principalmente da Giuseppa Vaira (moglie di Ferrari Girolamo), che abitava in quella casa insieme alla sua numerosa famiglia, il forno, oltre a cuocere il pane, teneva al caldo anche i figli piccoli nella culla: Girolamo si ricorda di aver cullato Piero Ferrari quando aveva pochi mesi.
Il pane bianco, ancora profumato e croccante nei limpidi ricordi, era fatto con il frumento prodotto nei propri campi. Il cereale veniva poi portato a macinare a Cemmo nel “mulino di mezzo” appartenente alla famiglia Tosi, dal mulinér detto il Pàcio. Il Pàcio aveva un mulo e ogni due o tre giorni passava per il paese di Ono S. Pietro: gli venivano consegnati sacchi di grano che poi rendeva in farina.

Girolamo si ricorda anche di un altro forno (ormai scomparso), quello della zia materna in Via Prati che sfornava panini decorati detti Confortì e il pane da schèlt (farina di castagna), mentre le pagnotte bianche, dice “erano un po’ più grandi delle ciabatte che fanno adesso”.

La mamma di Caterina, invece, che viveva in Via Canale, andava dalla zia Beli a fare le focacce e ci passava l’intera notte. Il forno che usavano era nel curtìf del pàhar, fuori dalla casa dei Mor, ma oggi non c’è più.

Dei numerosi aneddoti raccontati da Girolamo e Caterina, c’è quello che narra di una signora di Ono S. Pietro, detta la Cuminì de la Rosa, che andava a Capo di Ponte a prendere il pane con la gerla e lo vendeva a Moncini Francesco (Checo Fuaröl), proprietario del negozio di alimentari in Via Mossino (ancora oggi presente).

I ricordi corrono rapidi verso la seconda guerra mondiale, allo spettro della fame e alle difficoltà: “In tempo di guerra c’era la tessera per il pane, a ogni persona spettava un etto di pane al giorno… si andava in negozio e dopo averci dato il pane il negoziante faceva un timbro. Perdere quella tessera era come perdere il portafoglio!” ci dice Girolamo, mentre Caterina ci offre il caffè e dolcissimi cioccolatini.