“Lì c’era una stanza dove la nonna riponeva le assi con il pane per farlo lievitare, guardando il forno sulla destra” racconta Antonio Pessognelli, mentre proseguendo poco oltre nell’involto c’è l’ingresso della sua abitazione.
Il forno invece è ancora lì, immobile, parte integrante della casa, guardarci dentro è come essere Alice nel paese delle meraviglie che capisce che per entrarci deve cambiare le dimensioni del proprio corpo, e noi qui incontriamo cambi di dimensione temporali e sociali. Antonio ha raccontato della sua infanzia trascorsa insieme alla mamma e alla nonna (paterna), che aiutava per la gestione del mulino di famiglia facendo il carrettiere, si ricorda di quando la notte dormivano al mulino (che appunto macinava sia di giorno che di notte) sul fieno con una coperta, accanto all’asino (come Gesù Bambino). La fatica dovuta al lavoro era notevole sia per le donne di casa che per se stesso, ma il riscontro positivo era che con questo lavoro, a quell’epoca, si guadagnava mica male. L’utilizzo del forno è coinciso con quello del mulino: fin quando la famiglia è stata proprietaria del mulino la farina non è mai mancata (dato che il pagamento per la macinatura e il trasporto poteva avvenire oltre che in denaro anche lasciando una quota del macinato) e quindi veniva prodotto il pane a casa; negli anni Sessanta chiusa questa pur importante parentesi anche la famiglia del (già) mugnaio sarebbe andata dal fornaio di paese a comprare il pane.
Il forno come detto sopra è inserito integralmente nella struttura della casa, la bocca del forno come la volta sono in pietra. Il piano di cottura è sempre in pietra ma costituito da lastre (ora abbastanza disconnesse).